Il Tribunale di Milano, Sez. spec. in materia di imprese, con sentenza del 14 gennaio 2025, ha ribadito che il diritto di voto del socio di S.p.A. in assemblea non è automaticamente riconducibile alla categoria dei diritti soggettivi individuali che, se lesi, legittimano il socio all’impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione che ha causato tale lesione, ai sensi dell’art. 2388, comma 4, c.c. Il diritto di voto del socio in assemblea, infatti, rappresenta un potere strumentale alla formazione della deliberazione e, pertanto, il suo mero esercizio non assicura generalmente al socio l’effettiva realizzazione dell’interesse individuale perseguito con l’espressione del voto. La vicenda La controversia trae origine dall’impugnazione proposta da Vivendi S.E. (“Vivendi”), titolare di un pacchetto azionario rappresentante il 23,75% del capitale sociale di Telecom Italia S.p.A. (“TIM”) della delibera del consiglio di amministrazione di TIM del 5 novembre 2023, ai sensi dell’art. 2388, comma 4, c.c., per ottenere l’annullamento della stessa in quanto lesiva del suo diritto. In particolare, Vivendi contestava la delibera con cui il CdA di TIM aveva approvato l’offerta del fondo di private equity Kohlberg Kravis Roberts (KKR) per l’acquisto del ramo d’azienda di TIM relativo alla rete fissa. L’attrice osservava che la delibera in questione sarebbe stata illegittima per contrarietà all’oggetto sociale, comprendente necessariamente l’attività di gestione della rete fissa. Precisamente, la delibera avrebbe determinato una effettiva modifica dell’oggetto sociale della società con un cambiamento significativo dell’attività della stessa, non consentita agli amministratori poiché riservata alla competenza dell’assemblea dei soci, ai sensi dell’art. 2365 c.c. Vivendi rilevava che la deliberazione consiliare avrebbe pertanto impedito ai soci di esprimersi in sede di assemblea straordinaria sulla modificazione dell’oggetto sociale, privandoli eventualmente dell’esercizio del diritto di recesso ai sensi dell’ art. 2437, comma 1, lett. a) c.c. TIM si costituiva in giudizio eccependo in via pregiudiziale il difetto di legittimazione di Vivendi ad impugnare la delibera del CdA in questione, nonché il difetto di interesse a proporre l’azione di annullamento della stessa. Nel merito, la convenuta contestava la fondatezza della tesi sostenuta dall’attrice asserendo in particolare (i) la mancanza della legittimazione del socio ad impugnare la delibera consiliare per lesione di un suo diritto soggettivo individuale in quanto non riferibile alla privazione del diritto di voto in assemblea che all’interno dell’organizzazione dell’ente spetta a tutti i soci e (ii) il difetto di interesse dello stesso in quanto la delibera consiliare era già stata eseguita e la situazione quo ante non ripristinabile. La decisione Il Tribunale di Milano ha dichiarato inammissibile l’impugnazione della delibera consiliare proposta da Vivendi per difetto di interesse giuridico attuale e concreto alla pronuncia di annullamento. L’art. 100 c.p.c. impone al giudice di verificare che la domanda giudiziale sia sorretta da un interesse attuale e concreto della parte al provvedimento giurisdizionale richiesto e cioè che sia proposta in funzione del conseguimento di un risultato utile giuridicamente e apprezzabile di tutela, non conseguibile senza l’intervento del giudice, essendo esclusa l’ammissibilità del ricorso alla tutela giurisdizionale fondato sulla prospettazione di un diritto meramente eventuale. Ciò premesso, il Tribunale ha ribadito che la legittimazione ad impugnare la delibera del consiglio di amministrazione ai sensi dell’art. 2388, comma 4, c.c. spetta ai soci solo se la stessa delibera pregiudica direttamente un loro diritto individuale. Il Tribunale ha escluso che la privazione del diritto di voto in assemblea possa costituire una lesione individuale, trattandosi di una posizione comune a tutti i soci e rientrante nel riparto di competenze tra gli organi sociali. Inoltre, il Tribunale ha rilevato che Vivendi non aveva mai prospettato, nel corso del giudizio, l’intenzione di esprimere un voto dissenziente in una eventuale assemblea straordinaria per la modifica dell’oggetto sociale, né aveva esercitato la propria facoltà di richiederne la convocazione ex art. 2367, comma 1, c.c. in quanto socia che rappresenta più di un ventesimo del capitale sociale della stessa. Di conseguenza, il giudice ha ritenuto insussistente una lesione concreta del diritto di recesso, escludendo la configurabilità anche solo potenziale della prospettata lesione dello stesso ai sensi dell’art. 2437, comma 1, lett. a) c.c., e l’esistenza di un interesse giuridico concreto e attuale della socia attrice all’impugnazione e annullamento della deliberazione consiliare. La sentenza in esame ha pertanto confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la tutela giurisdizionale contro delibere consiliari illegittime non può essere invocata dai soci in via generale, ma solo in presenza di una lesione concreta dei loro diritti individuali.