Il Tribunale di Milano, Sez. spec. in materia di imprese, con decreto del 24 novembre 2023, ha stabilito che per risolvere situazioni di stallo decisionale derivanti dal dissenso tra contitolari di una quota societaria non è possibile ricorrere alla nomina di un amministratore giudiziario della cosa comune ex art. 1105, quarto comma, c.c., ritenendo inapplicabile la disciplina generale della comunione alla comproprietà della quota sociale. La vicenda La vicenda trae origine dal ricorso promosso da un socio di una società a responsabilità limitata, in qualità di comproprietario con un altro soggetto, ciascuno al 50%, della quota di maggioranza della società stessa, al fine di ottenere la nomina dell’amministratore giudiziario della cosa comune ai sensi dell’art. 1105, quarto comma, c.c.. Nel caso di specie, il socio ricorrente rappresentava in giudizio la circostanza che il comproprietario della quota si era opposto all’approvazione dei bilanci relativi agli esercizi 2021 e 2022, determinando così uno stallo decisionale in sede assembleare con il conseguente potenziale pericolo di addivenire allo scioglimento della società. Dunque, il ricorrente - acclarata l’impossibilità per il rappresentante comune precedentemente nominato di esprimere il voto in sede assembleare a causa delle contrarie istruzioni di voto ricevute dai due soci comunisti paritari - domandava che venisse nominato un amministratore giudiziario, con conferimento a quest’ultimo di poteri autonomi di ordinaria amministrazione della cosa comune, incluso quello di esprimere il voto nell’assemblea della S.r.l., al fine di superare la situazione di stallo. La decisione Il Tribunale di Milano, Sez. spec. in materia di imprese, ha rigettato il ricorso promosso dal ricorrente, ritenendo inapplicabile in via analogica alla comproprietà della quota sociale la disciplina generale della comunione ordinaria, non ritenendo possibile il ricorso alla nomina di un amministratore giudiziario ai sensi dell’art. 1105, quarto comma, c.c. nemmeno nel caso di paralisi assembleare. Nell’esaminare la questione ed escludere l’assoggettabilità della comproprietà della quota sociale alla disciplina della comunione, il Tribunale ha osservato che, sebbene in tema di contitolarità della partecipazione sociale l’art. 2468 c.c. operi effettivamente un rinvio alle norme della comunione ordinaria di cui agli artt. 1105 e 1106 c.c., tale rinvio è finalizzato esclusivamente all’individuazione delle modalità della nomina del rappresentante comune. Pertanto, ai comproprietari non è concessa la facoltà di ricorrere all’autorità giudiziaria per la nomina di un amministratore in luogo del rappresentante comune, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1105, quarto comma, c.c.. In particolare, il Tribunale ha osservato come il rappresentante comune altro non è che “un nuncius della volontà dei comunisti all’interno della società nell’esercizio dei diritti amministrativi e patrimoniali non frazionabili connessi alla quota sociale”, nominato per semplificare i rapporti all’interno dell’organizzazione sociale nel rispetto del principio di maggioranza della volontà dei comunisti. Il rappresentante comune, pertanto, non dispone, di poteri di gestione autonomi. La ratio di tale limitazione è quella di evitare che le decisioni spettanti ai soci e riguardanti la società possano essere affidate ad un soggetto terzo che, a differenza di essi, non partecipa al rischio d’impresa. Diversamente, con la nomina dell’amministratore giudiziario sarebbe quest’ultimo a dover esprimere per la quota sociale comune un voto imputabile indistintamente a tutti ed a ciascuno dei comunisti, con effetto preclusivo dell’impugnazione della deliberazione anche per il condividente dissenziente. Secondo il Tribunale “si opererebbe così una sorta di “espropriazione” della contitolarità della partecipazione in capo al comunista dissenziente, nel frattempo partecipe come gli altri del rischio di impresa, che è proprio quanto la disciplina speciale della comproprietà della quota sociale dettata dall’art. 2468 c.c. ha inteso evitare limitando i poteri del terzo collettore della volontà dei comunisti a quelli di un semplice rappresentante comune”. Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ha rigettato il ricorso, individuando nella liquidazione della società ai sensi dell’art. 2484, primo comma, n. 3, c.c. per impossibilità di funzionamento dell’assemblea la fisiologica conseguenza alla situazione di stallo dell’assemblea dei soci qualora non vi siano le condizioni per esprimere una maggioranza idonea a deliberare sugli aspetti cruciali della vita della società.