La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 11041 del 27 aprile 2023, ha stabilito che chi esercita in via giudiziale un’azione di risarcimento del danno nei confronti di uno o più amministratori che abbiano posto in essere atti gestori non meramente conservativi, pur essendosi già verificata una causa di scioglimento della società da questi ultimi amministrata, è tenuto a dar prova dell’esistenza dei fatti costitutivi della domanda, ma non della finalità non conservativa di tali atti gestori. Tale onere probatorio, infatti, ricade in capo agli amministratori, i quali saranno eventualmente tenuti a dar prova che il fine degli atti da loro posti in essere fosse quello di conservare l’integrità e il valore del patrimonio sociale, in conformità a quanto disposto dall’art. 2486 c.c.. La vicenda La vicenda trae origine da un’azione di responsabilità promossa da una società per azioni nei confronti del proprio organo amministrativo e di controllo, nonché della società di revisione, al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla perdita integrale del proprio capitale sociale, verificatasi, secondo parte attrice, successivamente all’avveramento di una delle cause di scioglimento previste dall’art. 2484 c.c. per fatti imputabili ai suddetti organi. Il Tribunale di Milano, con sentenza successivamente confermata in appello, condannava al risarcimento dei danni un solo componente del consiglio di amministrazione, ritenendolo l’unico responsabile della perdita del capitale sociale. Quest’ultimo ricorreva in Cassazione adducendo che la sentenza di condanna avesse violato i principi relativi all’onere della prova. In particolare, la società avrebbe allegato a fondamento della responsabilità dell’amministratore la sola mancata iscrizione presso il registro delle imprese della dichiarazione con cui veniva accertato il verificarsi della causa di scioglimento della società ex art. 2484 c.c., e non anche il compimento di ulteriori atti non finalizzati alla sola conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, come invece previsto ex art. 2486 c.c. La decisione La Suprema Corte con la sentenza in esame ha ribadito che, al verificarsi di una causa di scioglimento della società ex art. 2484 c.c., gli amministratori sono tenuti – ai sensi del combinato disposto degli artt. 2484 co. 3 e 2485 co. 1 c.c. – ad accertare l’avveramento di tale causa di scioglimento e a procedere all’iscrizione presso il competente registro delle imprese della dichiarazione con cui viene accertato il verificarsi dell’evento che ha causato lo scioglimento. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che, nonostante tale adempimento debba essere evaso “senza indugio”, l'omissione o il ritardo di detta iscrizione nel registro delle imprese non è “automaticamente” produttiva di un danno risarcibile. Diversamente, a seguito dell’avveramento di una causa di scioglimento della società ex art. 2484 c.c., sembra essere più realistica l’ipotesi di danno cagionato dagli amministratori attraverso il compimento di atti di gestione ordinaria, contrari al dettato dell’art. 2486 c.c. Invero, il socio o il terzo che chieda il risarcimento dei danni cagionati in violazione dell’art. 2486 c.c. è tenuto ad allegare i singoli fatti costitutivi della domanda, mentre spetterà poi agli amministratori provare che gli atti in esame fossero unicamente diretti alla conservazione del patrimonio ed alla sua liquidazione, e non all’assunzione di un «nuovo rischio d’impresa». Chiarito ciò, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d’Appello, evidenziando la mancata prova del danno, dal momento che la corte territoriale si era limitata a fondare la responsabilità dell’amministratore sulla sola base della mancata iscrizione presso il registro delle imprese della causa di scioglimento, elemento non ritenuto sufficiente dalla Suprema Corte.