Il Tribunale di Roma sez. spec. Impresa, con la sentenza n. 1295 del 26/01/2023, ha ribadito che l’erogazione di somme che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate può avvenire (i) a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure (ii) a titolo di versamento, destinato ad essere iscritto non tra i debiti, bensì a confluire in un’apposita riserva “in conto capitale” (Cassazione, sentenza n.24861 del 09/12/2015). La qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, è legata alla volontà negoziale delle parti, e la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi (Cassazione, sentenza n.7471 del 23/03/2017). La vicenda La vicenda trae origine dall’opposizione proposta da una società a responsabilità limitata avverso un decreto ingiuntivo emesso nei confronti della stessa nel 2019 da parte del Tribunale di Roma, in ragione del quale un socio chiedeva la restituzione di “finanziamenti” asseritamente effettuati dallo stesso in qualità di socio negli anni 2004-2009 per complessivi Euro 1.226.000,00, come desumibile dal bilancio consuntivo al 31.12.2009, regolarmente approvato e depositato presso il competente registro delle imprese. La decisione La Corte, rilevando che i finanziamenti infruttiferi erano stati espressamente qualificati in conto capitale e appostati nella categoria “Altre riserve”, ha ritenuto che né i soci né la società avessero inteso stipulare un contratto di mutuo soggetto a restituzione. Tale conclusione veniva ulteriormente rafforzata dal fatto che la voce di bilancio “debiti per finanziamenti” era pari a zero, lasciando intendere che tutte le somme versate erano a titolo di apporto in conto capitale, ossia di capitale di rischio e non di mutuo, e quindi non erano oggetto di restituzione. Nel caso di specie, continua la Corte, vi è, inoltre, uno sfasamento temporale tra il bilancio depositato al 31.12.2009 e la richiesta di restituzione della somma in questione, di cui non si ha contezza della sua continuativa sussistenza o del suo utilizzo per il ripianamento di perdite. La Corte, infine, richiama un ulteriore precedente della Corte di Cassazione (Cassazione, sentenza 12994 del 15/05/2019), secondo il quale il credito del socio, concesso in presenza di un finanziamento nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento, subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull’ordine di soddisfazione dei crediti. Di conseguenza, nel caso di specie, la presenza di ingenti debiti avrebbero reso comunque inesigibile il finanziamento del socio per il principio della postergazione. Pertanto, la Corte accoglie l’opposizione della società, revocando il decreto ingiuntivo emesso nel 2019 dal Tribunale di Roma in ragione del quale il socio ha ingiunto alla società la restituzione di “finanziamenti” asseritamente effettuati dallo stesso in qualità di socio negli anni 2004-2009 per complessivi Euro 1.226.000,00, non avendo il socio diritto alla restituzione delle somme versate e consapevolmente appostate quale finanziamenti in conto capitale, non passibili di restituzione.
Invero, dall’esame del bilancio e dei verbali di assemblea, non risultavano formalmente debiti verso soci per finanziamenti, bensì l’importo di Euro 1.226.000,00 oggetto del decreto ingiuntivo rientrava nella voce “altre riserve”, il cui fine, come specificato nella nota informativa del bilancio stesso, era quello di coprire le perdite e non di essere in futuro distribuite ai soci.