Con l’ordinanza n. 6648 del 6 Marzo 2023, la Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini dell’insorgere della responsabilità ex art. 2395 c.c., la parte attrice deve provare che il comportamento doloso o colposo dell'amministratore abbia cagionato un danno diretto al patrimonio del socio o del terzo. La vicenda La vicenda trae origine dal ricorso in Cassazione promosso da alcuni obbligazionisti di una società, successivamente dichiarata fallita. I ricorrenti, in qualità di creditori, chiedevano la condanna degli amministratori ex art. 2395 c.c. al risarcimento del danno causato dalla condotta di raccolta abusiva del risparmio da parte degli stessi. Tale condotta abusiva si era estrinsecata, in particolare: (i) nel superamento del limite massimo dell’ammontare di obbligazioni emesse ex art. 2412 c.c.; (ii) nell’omessa comunicazione di alcune informazioni ritenute essenziali (inter alia, l’indicazione dell’importo complessivo del prestito obbligazionario) e (iii) nella redazione di bilanci sostanzialmente falsi, generando in capo ai terzi la falsa convinzione che la società fosse economicamente solida. La decisone La Cassazione ha precisato che il regime di responsabilità degli amministratori ex art. 2395 c.c. ha natura extracontrattuale, configurando un’ipotesi ricompresa nell’art. 2043 c.c. Precisa, inoltre, che tale fattispecie presuppone la sussistenza di fatti illeciti che siano direttamente imputabili alla condotta dolosa o colposa dell’amministratore, posta in essere nell’esercizio del proprio ufficio ovvero anche al di fuori di tale perimetro. Ne consegue che l’onere della prova di tali condotte illecite, del danno arrecato e del relativo nesso di causalità spetta all’attore, ossia a chi lamenti che il proprio patrimonio sia stato da esse direttamente danneggiato. Inoltre, la Cassazione specifica che la prova dei fatti posti a fondamento della domanda non può basarsi sulla sentenza di fallimento, né sulla mera redazione di bilanci falsi, come sostenuto dai ricorrenti, bensì dev’essere puntualmente fornita dall’attore. Inoltre, al fine di configurare il danno come diretto, è necessario che tali condotte abbiano danneggiato direttamente il patrimonio del socio o del terzo ex 2395 c.c., a nulla rilevando il danno al patrimonio sociale in quanto quest’ultimo è altro rispetto al valore della partecipazione dei singoli soci: un eventuale danno al primo, infatti, determinerebbe un mero pregiudizio riflesso alla partecipazione sociale, come già affermato dalla Corte[1] stessa, rendendo l’azione ex art. 2395 c.c. non esperibile. [1] Cass. Civ., 23 Giugno 2010, n. 1522.