È prassi comune sottoporre un preliminare di compravendita di partecipazioni sociali alla condizione sospensiva di ottenimento dell’autorizzazione da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”), qualora l’operazione oggetto del contratto sia qualificabile quale “concentrazione” ai sensi della disciplina italiana di tutela della concorrenza. L’articolo 16 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287 (derubricata “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”), come modificato dall'articolo 1, comma 177 della Legge 124/2017 e dall’articolo 32 della Legge 118/2022, prevede che le operazioni di concentrazione di cui all'articolo 5 della stessa legge debbano essere preventivamente comunicate all'AGCM qualora il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'insieme delle imprese interessate sia superiore a determinate soglie, aggiornate ogni anno. Ad oggi[1], le soglie di fatturato che rendono obbligatoria la comunicazione di una concentrazione ammontano a 517 milioni di euro per il fatturato realizzato nel territorio italiano dall'insieme delle imprese interessate e a 31 milioni di euro per il fatturato totale realizzato individualmente a livello nazionale da almeno due delle imprese interessate. Se l’AGCM ritiene che la concentrazione sia suscettibile di essere vietata ai sensi dell'articolo 6, avvia entro trenta giorni dal ricevimento della notifica, o dal momento in cui ne abbia comunque avuto conoscenza, un'istruttoria ai sensi dell'articolo 14 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287. Se, decorsi i 30 giorni dalla notifica, l’AGCM non si pronuncia sulla fattibilità o meno dell’operazione, né richiede ulteriori informazioni alle imprese interessate, larga parte della dottrina ritiene che operi il meccanismo del silenzio-assenso e l’operazione di concentrazione può dirsi autorizzata[2]. Nelle more della decisione dell’AGCM, a livello nazionale, non è stabilito alcun divieto di realizzazione dell’operazione. Tale conclusione si può desumere dal combinato disposto degli articoli 17, comma 1, e 18, comma 3, legge 287/1990, i quali stabiliscono rispettivamente che “l’Autorità, nel far luogo all’istruttoria di cui all’art. 16, può ordinare alle imprese interessate di sospendere la realizzazione della concentrazione fino alla conclusione dell’istruttoria” e che “se l’operazione di concentrazione è già stata realizzata, [l’Autorità] può prescrivere le misure necessarie a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva, eliminando gli effetti distorsivi”[3]. La possibilità di concludere un’operazione prima di aver ottenuto l’autorizzazione della competente autorità amministrativa è tuttavia un unicum in ambito amministrativo. La natura della condizione sospensiva di ottenimento dell’autorizzazione da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) è ampiamente dibattuta. Infatti, pur non trovando un espresso riferimento normativo, la dottrina definisce la condicio iuris come quella condizione che, anziché essere frutto della volontà delle parti, è imposta dalla legge. Più che un elemento accidentale, dunque, si può considerare un elemento essenziale del contratto, nel senso che quando la legge richiede un determinato requisito di efficacia esso è essenziale nell’economia del rapporto[4]. Ciò detto, risulta difficile affermare che l’autorizzazione dell’AGCM sia un requisito di efficacia dell’operazione, quantomeno inizialmente. Al contrario, sembra che tale autorizzazione sia più facilmente riconducibile all’alveo della condicio facti, espressione della volontà negoziale delle parti. La legge italiana, infatti, non pone alcun ostacolo all’acquisto da parte di un’impresa di partecipazioni in un’altra impresa, anche se in astratto l’operazione potrebbe integrare gli estremi di una concentrazione potenzialmente lesiva della concorrenza. Solo in un secondo momento, ultimate le analisi del caso, l’AGCM potrà chiedere la sospensione temporanea dell’operazione oppure potrà prescrivere che le imprese coinvolte adottino le misure necessarie a ripristinare le condizioni di concorrenza effettiva, eliminando gli effetti distorsivi. [1] Provvedimento AGCM n. 30060 pubblicato sul Bollettino n. 10 del 21 marzo 2022; [2] “La legge, in realtà, non qualifica il termine come perentorio. La conseguenza di questa impostazione è che lo spirare infruttuoso del termine dovrebbe comportare la decadenza dal potere di avviare l’istruttoria, e l’apertura «abusiva» di questa darebbe luogo a nullità per carenza di potere o ad annullabilità per violazione di legge, come a suo tempo è stato detto a proposito delle intese restrittive della concorrenza. […] In attesa di un chiarimento del legislatore è necessario forzare il dato normativo, [e una delle opzioni è valorizzare] la forza espansiva dell’art. 20, L. n. 241/1990, dove si prevede il silenzio-assenso per ogni «autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso od altro atto di consenso comunque denominato, cui sia subordinato lo svolgimento di un’attività privata (…)”. Giuseppe Cassano, Antonio Catricalà, Renato Clarizia, Concorrenza, Mercato e Diritto dei Consumatori (maggio 2018, UTET Giuridica); [3] Vittorio Cerulli Irelli, Virginia Bellucci, Antitrust e Proprietà Intellettuale (gennaio 2019, CEDAM); [4] Prof. Paolo Franceschetti, Condizione contrattuale (AltalexPedia, voce agg. al 23/03/2016).